LA CUCINA SICULA FU DELIZIA PER I GRECI

( CLAUDIO D’ANGELO )
Dal punto di vista delle abitudini alimentari, l’unico dono dei Greci alla Sicilia può essere circoscritto all’uso di un notevole numero di tipi di pane, usanza greca dovuta al fatto che ogni città aveva le sue varietà preferite; sembra che ne esistessero ben 66 tipi, anche se il discorso riguardava soltanto i giorni di festa.
Pertanto, l’arrivo dei Greci in Sicilia portò a un arricchimento notevole della loro alimentazione, originariamente limitata a pasti con arrosto di carne e pane: vari testi indicano che nel V secolo a.C., grazie all’apporto della cucina siciliana, la loro dieta divenne estremamente variata, integrata da antipasti, pesce, crostacei, molluschi, verdure, insalate, frutta e dolci ai precedenti tempi di Omero.
Aristofane, parlando dell’antipasto, citava dalle comuni olive in salamoia “sode come corpi di vergini”, alle un po’ sconcertanti cavallette e cicale, che venivano servite dopo averle catturate su un giunco sottile, ed alle cozze, ostriche ed altre conchiglie bivalvi grosse, gustate crude oppure poste ad aprirsi su un letto di braci.
Anche Epicarmo elenca una varietà sorprendente di frutti di mare: ” fu portato un piatto con ogni genere di molluschi : patelle, astaci, crabizi, chichiballi (conchiglia sconosciuta), ascidie, ghiande di mare, murici, ostriche ben serrate – che non è facile aprire mentre mangiare lo è -, cozze, chiocciole di mare, buccine, lunghi e cilindrici cannolicchi, melenidi- nere conchiglie dalle quali traggono profitto i fanciulli che le raccolgono – ed infine telline…”
Un’ulteriore idea può darla un brano del poema intitolato Il banchetto di Filosseno di Citera:
” Due schiavi ben unti ci portarono una tavola, altri ne portarono un’altra ed altri ancora una terza fino a che non ebbero empito la stanza. Ai raggi delle lampade appese al soffitto le tavole, cariche di vassoi e di salsiere ( ricerca) piene di… (manca nel testo) e di tutte quelle invenzioni che rendono piacevole la vita e affascinano lo spirito, risplendevano. Alcuni schiavi posero accanto a noi ceste piene ceste piene di pane d’orzo bianco come la neve, altri pagnotte di farina di grano. Dopo per rompere il nostro digiuno, ci passarono non un tegame, ma un grandissimo vassoio ben lavorato, un luccicante piatto pieno di bocconi d’anguilla da far venire appetito anche a un dio. Poi arrivò un altro recipiente dello stesso tipo ed in esso vi era una razza ben tonda. C’erano poi teglie più piccole: una di pesce smeriglio, l’altra di razza. un altro piatto saporito era fatto con calamari e seppie dai molli tentacoli. Dopo ci fu un cefalo arrosto: un pesce grande quanto tutta la tavola, appena tolto dal fuoco e ancora fumante. In seguito calamari infarinati ( e fritti) e curvi gamberi ben rosolati. Poi avemmo pani a forma di petali di fiore, panini dolci di fior di farina e focacce coperte di salsa agrodolce più grandi di un tegame. Questo viene da te e da me chiamato l’ombellico del banchetto. Appresso arrivò un’enorme fetta di tonno fresco appena pescato tagliato nella parte più spessa della ventresca ed arrostito…”.
Poi il poeta passa alla descrizione delle carni e degli altri piatti che vennero serviti: talmente tanti che il poeta si dice incapace di contarli, ma li elenca l’uno dopo l’altro in un’interminabile lista: interiora; trippa, lombo e coscio di maiale domestico; capretto di latte spaccato in due; braciole, piedini di maiale, costiglie e testina sempre di maiale e un filetto insaporito col silfio. Né si ferma a questo, perché racconta che, quando i vassoi contenenti queste pietanze furono vuotati, ne vennero portati altri contenenti capretti ed agnelli sia bolliti che arrostiti. Poi si offrirono lepri, galletti, pernice calda e colombacci. Pane in abbondanza naturalmente e col pane miele, cagliata e formaggio fresco e tenero.
Dopo che tutti avevano mangiato e bevuto a piacimento si provvedeva a lavar loro le mani, operazione indispensabile alla fine di ogni banchetto, dato che a quei tempi si mangiava con le dita.
I pesci e i crostacei trionfavano non soltanto sulle mense, ma anche nell’arte figurativa come elementi di decorazione e molte sono le coppe, le urne ed i crateri nei quali essi compaiono.
Naturalmente si serviva anche tanta carne, spesso lessata e lasciata cuocere a lungo, dato che, in un’epoca nella quale non si avevano allevamenti speciali, la carne bovina doveva esser piuttosto tigliosa.
(CLAUDIO D’ANGELO)

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