L’ITALIA POLITICA TRA L’EUROPA DA RIFONDARE E LA NUOVA AMERICA

Se a Novembre negli Stati Uniti alle elezioni presidenziali, come sembra sempre più probabile, vince Donald Trump, cambia tutto tra le due sponde dell’Atlantico. Sarà la conferma di una poderosa transizione di tutti gli assetti non solo politici, ma anche economici  e sociali negli Usa e di converso in tutto l’Occidente, a cominciare dall’Europa.

In ogni caso questi passaggi quasi epocali sono comunque già irreversibilmente in corso nei due continenti. Con Trump ci sarebbe solo la conferma di una accelerazione forte del fenomeno globale che è impetuosamente acceso soprattutto sottotraccia.

Il mondo come lo abbiamo conosciuto, sostanzialmente unipolare, con cabina di comando generale a Washington non esiste più. Cina e Russia contano davvero molto e si vede a occhio nudo. Più tutta una serie di paesi in tutto il globo, molti di essi un tempo satelliti angloamericani, oggi aderenti invece ai cosiddetti Brics, si pensi a India e Sud Africa, o Brasile e Argentina. Per non parlare della scomposizione della mappa geopolitica del Medio Oriente, dei paesi arabi e soprattutto del grande continente africano.

In questo roboante inedito scenario, l’Europa ha perso completamente il suo ruolo e il suo residuo di potenza, è un teatro periferico, non esiste come forza decisionale praticamente su nulla della agenda politica internazionale e attende ansiosamente cosa accadrà alla Casa Bianca a Novembre. Intanto, per quello che conta, dovrà affrontare le elezioni europee di Giugno dove si misureranno i rapporti di consistenza tra le diverse aree politiche in attesa dei nuovi vertici a Bruxelles.

Pandemia, immigrazione, economia, finanza, guerre, digitale, media, intelligenza artificiale, accesso alle materie prime hanno dimostrato, se ve ne fosse bisogno, che l’Europa è al traino su tutto. E’ in corso addirittura una guerra da due anni all’interno del continente nella parte orientale, di cui dovrebbe essere il primo attore politico o banco di regia e invece non ha alcun peso determinante. Avrebbe dovuto l’Unione Europea fare di tutto, a suo tempo, per evitare la nascita stessa del conflitto con l’Ucraina , proprio per i buoni rapporti con la Russia a cominciare dalla Germania, si pensi agli accordi di Minsk, e invece ha finito solo per esserne danneggiata. Per assurdo la vittoria sul campo sempre più palese della Russia la penalizza ulteriormente, compromettendo i rapporti con Mosca che sul piano economico ed energetico erano molto importanti, soprattutto per Berlino ma anche per Roma.

L’Unione Europea, istituzione in crisi profonda, non ha una sua politica estera, non ha una sua politica di difesa, ha invece una moneta comune, che doveva essere però un punto di arrivo e non di partenza. In buona sostanza l’Europa politica e dei popoli di fatto non è mai nata, mentre è prevalsa, con tutti gli effetti collaterali, anche dannosi, l’Europa della finanza e dei mercati, con la Banca centrale europea, la BCE, che conta molto di più del Parlamento europeo e della stessa Commissione Ue. E’ un corto circuito politico che non può in queste condizioni assicurare un vero futuro politico ed istituzionale all’Europa.

Serve davvero una riforma radicale che parta dalle fondamenta e dal potere reale dei cittadini europei. La finanza non può governare gli Stati o sostituirsi di fatto ad essi, lo dimostra la crisi in corso della democrazia in tutto il mondo libero. Senza il ritorno della centralità vera della politica, naturalmente di alto livello di competenza e responsabilità, legittimata dal vasto consenso popolare, non si esce dal pericoloso guado.

Il rischio è che maturi, più di quanto sia già accaduto e accada, l’insofferenza popolare di massa per ristrette elitès tecnocratiche di vario genere, che artatamente abbiano il comando generale effettivo delle cose, pur tentando di salvare, attraverso espedienti di immagine, la facciata politica. Questo sistema in Occidente non regge più e la disaffezione al voto, con il calo progressivo degli elettori ne è la spia più evidente.

Se negli Stati Uniti da più di dieci anni è in corso quasi una rivoluzione, con il grande paese prima potenza del mondo spaccato a metà, una ragione vi sarà. Se Donald Trump, figura certamente singolare, è al centro della scena politica americana costantemente da un decennio, addirittura ancora di più dopo la conclusione della suo primo mandato presidenziale, una ragione vi sarà. Se almeno mezza America lo vota, a discapito del cosiddetto potentissimo establishment, una ragione vi sarà. Se in Europa le cose politiche non vanno bene e l’Unione Europea, intesa come istituzione, è ferma al palo, una ragione vi sarà. Addirittura a dirlo adesso è Mario Draghi, certamente eccellenza italiana, ma espressione purosangue della alta tecnocrazia di cui si diceva prima. Solo attraverso il buon risorgere della politica si potranno alimentare nuove speranze per tutto l’Occidente, Europa ed Italia comprese.

In Italia la fine traumatica della prima repubblica è stata drammatica per il paese, perchè pur con tutti i suoi difetti, anche divenuti gravi nel tempo, tra derive e storture, su cui bisognava giustamente intervenire, vedeva comunque molto centrale la politica e i partiti sulla scena decisionale. Era forte l’interesse nazionale e popolare. Poi non è stato più cosi. Si è inaugurata con la cosiddetta seconda repubblica una inversione dei rapporti tra politica ed altri poteri, non solo tecnocratici e finanziari, che col venir meno dei partiti, ridotti a fluide scatole da gioco in mano a un rigido e circoscritto verticalismo interno di pochi, hanno finito col contare poco ed essere spesso subordinati a grandi scelte prese altrove, in tavoli ben più importanti. Da qui la crisi della partecipazione, del consenso e del voto.

Dal 1994 ad oggi, di volta in volta gli italiani, politicamente più deboli, con uno stato sociale e servizi più precari e sempre meno abbienti per tenore di vita e reddito, hanno affidato le loro residue speranze di potere rialzare la testa e contare su una democrazia effettiva, a tanti nuovi soggetti politici, da Berlusconi e la sua Forza Italia, alla Lega di Bossi e poi di Salvini, alla sinistra e ai post comunisti del Pds poi Pd, a Matteo Renzi, ai Cinquestelle di Beppe Grillo, alla destra di Gianfranco Fini e adesso alla nuova destra di Giorgia Meloni, su cui è presto per dare un giudizio complessivo.

Alle spalle l’Italia ha ben trent’anni in cui, pur al netto di alcune eccezioni, anzichè andare avanti è marcatamente indietreggiata su tanti fronti e scenari, interni ed esteri.

Spesso in alcuni ambienti si è anche confidato nella soluzione giudiziaria, che è sempre un rimedio peggiore del male, oltre che tragitto istituzionalmente pericoloso, perchè ai giudici spetta amministrare e assicurare la giustizia e non favorire o determinare scenari politici. La magistratura deve sempre godere della fiducia assoluta dei cittadini che le affidano, con la Costituzione, il potere giudiziario. Il Parlamento e il governo esercitano invece il potere legislativo ed esecutivo in forza di libere elezioni e del consenso politico che li legittimano nei loro ruoli. A ciascuno il suo. Questo degli incroci insidiosi è un nodo nazionale ancora non del tutto risolto che si riverbera sul tessuto democratico.

Non a caso, opportunamente, su tutti questi temi sensibili, spesso e bene interviene il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

L’Italia ha assoluto bisogno di grandi riforme, di cui si intravede un possibile orizzonte, e soprattutto di una pace civile e politica che la traghetti nei tempi nuovi alle porte del mondo.

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