IL LAVORO PUO’ DAVVERO NOBILITARE L’UOMO. MA VA DEL TUTTO RIPENSATO.

Per nobilitare davvero, il lavoro, deve essere riconsiderato completamente nel suo vero scopo, soprattutto umano e nel suo modo di realizzarsi e svolgersi.

Dire non c’è lavoro è una falsità storica, il lavoro si può creare sempre. E’ il tipo di scambio il vero problema da affrontare.

Il valore vero del lavoro è dato innanzi tutto dalla dignità che conferisce a chi lo esercita e poi dalla possibilità di avere beni e servizi di ogni genere a disposizione della collettività che, altrimenti, proprio non esisterebbero. Bellezza e utilità insieme, quindi, idealmente.

La dignità si accompagna all’autonomia economica della persona e della sua famiglia, che emancipa e affranca da umiliazioni, bisogni, soprusi, ricatti e abusi.

Libertà e lavoro vanno quindi di pari passo.

Però bisogna intendersi bene su cosa sia in astratto il lavoro e cosa in concreto sia diventato e soprattutto possa diventare.

Idealmente, in una società armoniosa e solidale, veramente circolare, il lavoro dovrebbe essere la possibilità di esprimere le proprie attitudini e vocazioni, conferendo un contributo alla convivenza con gli altri, che tenga possibilmente conto di ciò che l’individuo voglia e sappia manifestare e di ciò che serve alla società stessa.

Dalle mansioni più semplici a quelle più complesse e raffinate, dall’imbottigliare l’acqua alla ideazione urbanistica di una città, dal fare il pane alla più sublime opera lirica e cosi via, tutto serve e si compenetra in un disegno più grande.

Viene da chiedersi se la società, non solo quella recente, ma anche più antica, abbia favorito questo processo.

Evidentemente no.

Se può essere utopistico poter fare il lavoro che più piace e altrettanto inaccettabile dover fare per tutta la vita un lavoro imposto o che non piace affatto. Ancora peggio sotto sfruttamento. Sarebbe, questa, la sconfitta palese di un modello sociale.

Il lavoro spesso, quasi sempre, è stato lo specchio di un assetto rigidamente molto verticistico, in cui raramente sono assecondate le inclinazioni o le passioni della persona, anzi si offrono, ed anche sempre più raramente, circa la quantità, mansioni poco gradite, in cambio di remunerazioni spesso insufficienti anche per il minimo di adeguata  sopravvivenza.

In buona sostanza sempre meno lavoro, sempre meno appagante, sempre meno ben retribuito.

Una parabola dal tratto discendente sempre più evidente. E’ un modello in crisi in tutto l’Occidente. Una società e uno Stato cosi predisposti non assolvono al fine del benessere e della felicità degli individui. Può sembrare paradossale, ma perché una comunità organizzata dovrebbe essere indirizzata all’insoddisfazione e al malessere, materiale e spirituale? E’ un non senso.

Questa crisi epocale che si è aperta con la cosiddetta pandemia da coronavirus, speriamo possa almeno servire a ridefinire i fondamentali dell’economia e del lavoro, rivedendo per forza di cose principi e finalità. Ineluttabilmente non solo la creazione di lavoro, ma anche i modi di lavorare e le retribuzioni dovranno essere ripensate e rimodulate.

Può essere l’occasione, sebbene forzata dagli eventi poderosi, di immaginare e costruire nuovi modelli più virtuosi e improntati a sviluppo etico, giustizia sociale, benessere più diffuso.

Crescita felice, non decrescita infelice. Sana ricchezza per tanti, non pauperismo deleterio per i più. Potere stare meglio tutti, non sempre più male tutti.

Le possibilità reali di ottenere questo risultato ci sono. Anche e soprattutto in Italia, paese ricco da tanti punti di vista.

Ovviamente bisogna mettere radicalmente in discussione il paradigma economico- finanziario e del lavoro convenzionale per come lo abbiamo conosciuto fin qui. Salvando il meglio di quanto elaborato, prodotto e verificato sul campo e gettando alle ortiche tutto ciò che si è dimostrato fallace e negativo.

Naturalmente perché questo processo si inneschi, sarebbe necessaria, non solo soprattutto forza e volontà politica, visti gli ostacoli, come macigni, che incontrerebbe,  ma anche una classe dirigente di alto profilo umano e altrettanta abilità, a tutti i livelli, capace di immaginare e preparare, già da adesso, un mondo nuovo.

Eppure un percorso del genere sarà comunque necessario e comporterà un sensibile cambio di mentalità.

Il rapporto tra Stato e Privato devo essere ricomposto in un equilibrio più naturale che contempli sicurezza e protezione da un lato e libertà di intrapresa, di movimento e di massima creatività e ingegno dall’altro.

Lo Stato che garantisce i diritti essenziali, almeno il minimo per vivere, a tutti, in cambio ovviamente di un impegno da  corrispondere e il privato, senza troppi vincoli, che sappia e possa offrire l’opportunità di costruire e guadagnarsi, con libertà, il tanto di più, senza confini per nessuno. Pubblico e Mercato sanamente interconnessi.

Naturalmente è un modello in netto contrasto con quello vigente dell’1% dei super ricchi e potenti che dominano, di fatto, il restante 99% in sostanziale subordinazione. Eppure non c’è altra via, che avere coraggio e fantasia, per immaginare e volere tutti insieme un altro mondo prima che sia troppo tardi. Possiamo farcela.

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