L’Italia arranca, un paese quasi fermo. Cosi non va .

L’Italia arranca, è un paese quasi fermo, in balia di un pilota automatico che può portarla ovunque, anche fuori rotta. Manca una regia, non solo per imprese straordinarie di cui avrebbe grande bisogno, ma anche per l’ordinaria amministrazione. Il governo c’e’, ma è come se non ci fosse. Sorvola impalpabile.

Non soltanto, sebbene costituzionalmente legittimo, non gode del consenso della maggioranza reale del paese, ma è una alleanza palesemente forzata, disarticolata , rissosa, fondamentalmente incompatibile.

La vicenda del Mes, il Meccanismo europeo di Stabilità, delicatissima, è lo specchio di una Nazione in bilico.  Il Mes merita la massima attenzione e trasparenza, sono in gioco le finanze pubbliche e private degli italiani.

Il premier Giuseppe Conte, sul piano politico, dopo pochi mesi è l’ombra di sé stesso, ambiva ad essere il capo indiscusso, forte e autorevole in prima persona dell’esecutivo, mentre si ritrova imbrigliato nella sua stessa rete. Contraddizioni, ambiguità e soprattutto  nessuna caratterizzazione politica colorano di grigio il governo detto giallorosso.

Una grande delusione sul piano dell’azione confermata da tutti i sondaggi. Se l’opposizione registra forti numeri è sostanzialmente per l’insipienza dell’esperimento di governo. Il Conte bis nacque per evitare le elezioni , impedire l’arrivo di Salvini a Palazzo Chigi, si disse demagogicamente per sterilizzare l’aumento dell’iva, frutto delle famose clausole di salvaguardia, ma soprattutto per avere un governo visto con favore da Bruxelles e dai mercati.

Nonostante ciò , ad oggi, risultati molto modesti e nessuno slancio forte per la ripresa vera del paese.

L’Italia, pur allineata ai poteri forti internazionali, non solo non fa passi avanti, ma fa passi indietro. Esplodono una dopo l’altra le crisi nei settori economici  strategici del paese, dal trasporto aereo, all’industria siderurgica e all’acciaio, dalla sicurezza delle infrastrutture precarie esistenti a quelle che da vent’anni non vedono la luce per nascere. Sullo sfondo c’è tra l’altro, ancora sottaciuta, tutta la questione degli effetti futuri della fusione tra Fca, ex Fiat  con Peugeot, un matrimonio che in molti vedono come  una incorporazione a vantaggio e dominio dell’industria automobilistica francese. Non si sa, nella crisi dell’auto,  cosa potrà accadere agli stabilimenti e alle maestranze domani, specie al Sud, da Pomigliano d’arco, a Menfi,  e al grande indotto.

Non sono più gli anni sessanta e settanta, il  mondo è cambiato. Dai primi anni novanta non si disegna più il futuro economico possibile del Paese.  Dalla fine della prima repubblica in ogni campo  non è stata concepita e realizzata una politica industriale per il paese degna di questo nome.

Il commercio , specie al Sud è stato colpito e fiaccato da una crisi senza precedenti per il crollo dei consumi.  Agricoltura e turismo , pur vantando eccellenze, know how di prim’ordine , qualità ed alto valore aggiunto non costituiscono l’ossatura strategica e la spina dorsale economica, specie nel Mezzogiorno, non giovandosi di moderni  sistemi a rete  collegati a politiche nazionali e regionali di settore,  concertate per affrontare il mercato interno e internazionale.

In buona sostanza va avanti da se, con le sue forze, nei limiti delle sue possibilità, solo l’Italia della buona volontà e capacità autonoma d’intrapresa e di sopravvivenza, specie quella delle piccole e medie imprese, nonostante l’assenza di valide  politiche generali di supporto da parte del Governo o dello Stato, se non addirittura, in alcuni casi,  per difendersi da esse.

La cifra di questo dramma è  il tasso di disoccupazione,  rimasto inalterato, con il Sud precipitato ed  ormai quasi senza speranze nell’offrire lavoro a giovani e meno giovani.

Il Sud è dentro una progressiva desertificazione, con una criminalità organizzata pervasiva e le migliori energie che se possono emigrano.

Mai l’Italia è stata spaccata in due come adesso. Se non riparte il Sud , tutto il Paese è finito. E’ una questione interamente politica. Ma è proprio la politica e i politici di livello ad essere assenti da tanto tempo.

Cosa si vuol fare del nostro paese ? Che progetti ha l’Unione europea per l’Italia? Che autonomia ha concretamente l’Italia per decidere il proprio destino? Siamo dentro una moneta unica, ne vorremmo anche i benefici ; i governi del paese , di qualsiasi colore, non possono limitarsi a vedersi di fatto assegnate dall’alto  delle risorse finanziarie e sostanzialmente anche come e dove spenderle.

Fiscal compact, pareggio di bilancio, spread e mercati non sono l’unica risposta possibile al dramma di un Continente in difficoltà, con i paesi del Sud Europa in forte affanno e crescenti tensioni civili.

Non si tratta di sovranismo né  tanto meno di inutile nazionalismo, ma di adeguata  libertà politica ed economica dentro un quadro europeo che, però,  con la religione dell’austerity, per bocca dei suoi stessi protagonisti ha fallito ogni tentativo di ripresa. Lo stesso Juncker ha fatto ammenda e Mario Draghi e Christine Lagarde hanno ammesso che bisogna cambiare rotta.

Viceversa l’Europa non si salva e non ha senso. Servono politiche post keynesiane, economia sociale di mercato, salvaguarda del welfare e dei diritti dei cittadini; Il mondo, l’Europa, l’Italia, non può essere solo a misura di multinazionali, finanza e il massimo del profitto d’impresa. Il mondialismo del mercato selvaggio senza regole, con pochissimi ricchi e tanti poverissimi è un disastro politico, economico ed etico.

I giovani, le ultime generazioni , “sardine incluse”, devono avere il polso reale della situazione ed esigere un drastico cambiamento in corsa.

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6 commenti su “L’Italia arranca, un paese quasi fermo. Cosi non va .”

  1. Il 1992/93 ha segnato un confine netto tra quelli che erano le prerogative della politica e dei politici, e quelle che invece sono i “bisogni” di finanzieri senza scrupoli che, attraverso l’uso della moneta che solo loro attraverso le loro banche possono emettere, esercitano e possono esercitare il potere assoggettando così governi, stati, parlamenti e costituzioni e i popoli, violando i principi cardine della democrazia e della rappresentanza popolare esercitata attraverso il voto. La politica ed i politici hanno le loro responsabilità, ma mai hanno fatto o commesso simili disastri, se non in casi di dittatura, ma per esercitarla hanno avuto bisogno della violenza, degli eserciti e delle armi, tutte cose da che i popoli alla fine hanno saputo combattere ed hanno imparato a difendersi e rovesciare i dittatori. Noi invece, nel nostro periodo, siamo sottomessi da un potere che ci circuisce, ci manipola, ci ricatta a livello psicologico e senza aver bisogno di armi, lo fa con l’economia, con la moneta, e con il “debito”, costringendoci ad assecondarli in ogni loro imposizione come se fosse dovuto, rendendoci schiavi accondiscendenti, costretti a lavorare al solo scopo di arricchirli. Se non si diventa consapevoli di questo, ogni e qualsiasi altra discussione rimane aleatoria, e non c’è un modo “democratico” per uscirne o per abbattere questo Moloch, l’unica via è quella di rompere ogni legame, subito e senza indugio. Preferisco di gran lunga qualche anno di sacrifici, per la mia terra, per il mio popolo, per i miei figli, ma finalmente libero di poter decidere autonomamente la mia politica economica, sociale e civile.

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    • La situazione è appunto drammaticamente peggiorata: ai mali strutturali e congiunturali del paese si sono aggiunti quelli derivanti dagli effetti delle misure anticovid. Il quadro non è affatto tranquillizzante. Si può precipitare, come pure salvarsi, solo se l’Italia saprà essere guidata e liberata nelle sue energie sociali ed economiche, con libertà e responsabilità.

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